Poche ore fa, mentre preparavo la cena a mia figlia, un ragazzo appena maggiorenne è stato ridotto in fin di vita, a colpi di pistola, a 150 metri da casa mia, a Alatri (FR), estrema periferia di una provincia periferia del mondo. Quel poveraccio poteva essere mio figlio, così come poteva essere mio figlio chi ha sparato – voci dicono che fossero in due, ragazzi, probabilmente suoi coetanei, in motorino col volto coperto. Allo stesso modo poteva esserci mia figlia lì ad assistere, o a beccarsi la pallottola al posto di quel ragazzo. Quel che è accaduto mi addolora e mi preoccupa ma non mi sorprende, come invece mi pare meravigli in queste ore tante persone che come me abitano questi luoghi. Mi chiedo dove abbiano vissuto in questi anni, e come abbiano fatto a non accorgersi di come quella violenza e microcriminalità legata al denaro, al possesso e alla cocaina (e a unʼignoranza atavica) sia da queste parti istituzionalizzata da parecchio – e da ben prima dellʼomicidio Morganti (sul quale sono state spese milioni di parole, e addirittura è stato stampato un libro, pubblicato da Einaudi). Quel che è accaduto questa sera è solo il secondo picco di una lunga serie di fatti di cronaca nera interrotta solo dalla crisi pandemica: roba da fare invidia a Ciudad Juarez. Mi sono convinto con il passare del tempo che il problema del degrado di questa provincia, e in particolare quello sempre più profondo e violento di questo piccolo centro del basso Lazio, sia irrisolvibile. Credo, allo stesso tempo, che le giovani generazioni di queste parti siano vittime di tutti i difetti della provincia italiana e, come tutti i loro coetanei, delle generazioni più anziane, che continuano a occupare spazi e a rubare loro il futuro, che affidano quasi interamente la formazione dei ragazzi alle loro intime capacità, alla loro curiosità, alla loro volontà e li lasciano in balia dei miti dei cafoni, dei microcriminali incalliti e dei vicinissimi camorristi, di soldi, violenza, rum, cocaina e auto a duecento allʼora. In un contesto del genere, in un paese con un retroterra culturale degradato, ridotto a paese-dormitorio, le persone interessate alla sua sopravvivenza dovrebbero riconoscere le macerie per ricostruire, chiedere un intervento dello stato perché le aiuti a offrire più vita, più comunità, più interessi, più opportunità. E invece le leggo fingere la sorpresa, unʼinaspettata emergenza, invocare una militarizzazione per vivere tranquilli in un posto nel quale nessuno vorrebbe mai venire ad abitare.