Analogie e differenze tra me e Stig Tøfting
“Ragazzo, hai una gran testa”, mi disse una volta un distinto signore incontrato sul treno cui stavo spiegando il mio punto di vista sull’annoso problema del mancato gettito fiscale.
Preso alla sprovvista da un’affermazione del genere, diventai viola in volto e mi chiusi nel silenzio: riaprii il libro che stavo leggendo e, giunto a destinazione, me ne andai senza salutarlo.
Si dovrebbe prestare attenzione all’utilizzo delle parole, anche quando si vuol fare un complimento: credo non fosse stato difficile per il distinto signore notare le dimensioni del mio cranio anche se, di certo, non poteva essere a conoscenza della mia suscettibilità in merito.
Non avessi perso i capelli, le tariffe del barbiere per me le avrebbero calcolate in metri quadri.
Io, macrocefalo.
Racconta mia madre che quando ero in fasce temeva che il mio collo fosse troppo esile per sostenere una testa del genere.
Fossi stato Stig Tøfting, il più grande mediano che il calcio danese ricordi – uno che definirlo ruvido sarebbe un eufemismo –, avrei spaccato il bel normo-cranio di quel distinto signore.
Non esistono misure esatte della circonferenza cranica di Tøfting.
Del resto, chi avrebbe mai il coraggio di prendere le misure di una “gran testa” che “nel 2002 prende[va] a testate il proprietario di un ristorante di Copenaghen che si lamentava dell’eccessiva baldoria sua e dei compagni di Nazionale (picchiando successivamente anche il cameriere del locale), ottenendo quattro mesi di carcere”1?
Fossi stato Stig Tøfting, soprattutto, sarei stato il più grande mediano che il calcio danese ricordi.
Invece no, sono stato solamente un pessimo esterno in qualche partita di calcetto ai tempi delle medie.
Analogie e differenze tra me e Brad Pitt
Una delle differenze principali tra me e Franca sta nel fatto che lei preferisce fare la doccia di sera, io la mattina, il che non costituisce alcun problema, anzi, ci permette di non scontrarci mai sull’utilizzo del bagno.
Non oso immaginare cosa accadrebbe se anch’io dovessi, un giorno, uscire di casa la mattina presto per andare a lavorare.
Dovrei svegliarmi alle cinque del mattino per permettermi quell’ora di acqua calda che mi serve a prendere contatto con la realtà.
Oppure dovrei fare anch’io la doccia alla sera.
“Vai prima tu”
“No, vai prima tu”
“Vado prima io, allora”
“No, credo sia meglio che vada prima io”
“Allora vai tu”
“Sì, vado io, ma sei sicuro?”
“No, dai, vai tu”
Per comodità, potrei fare come quelli famosi ed abbandonare l’abitudinarietà: ultimamente ho letto da qualche parte che Brad Pitt ha smesso di lavarsi perché i saponi inquinano (l’avrebbe dichiarato, lamentandosi, la moglie in un’intervista).
“Puzzi”, mi direbbe Franca dopo qualche giorno.
“Anche Brad Pitt”, le risponderei io, andando a cercare su Google l’intervista che citavo poco prima.
“Sì, ma lui è alto, biondo e con gli occhi azzurri ed è Brad Pitt”
“Io sono alto e con gli occhi azzurri”
“Ma sei pelato e non sei Brad Pitt”
Certo, Brad Pitt si taglierà le unghie dei piedi più frequentemente di me.
Sicuramente Brad Pitt non avvertirà fastidiosi bruciori alla sommità del pene – se di sommità si può parlare, viste le ridotte dimensioni.
“Credo di sì”, mi rassicurerebbe lei, “del resto anche i fiammiferi hanno una testa”.
Analogie e differenze tra me e David Foster Wallace
Il divano di casa2 guarda verso la porta del bagno, il che mi impedisce di utilizzarlo in presenza di ospiti3.
E’ sera, Franca sta facendo la doccia4.
La porta del bagno è chiusa, io sto seduto sul divano a leggere un libro che mi ha passato Liborio5.
Il silenzio è rotto dall’acqua che scorre sul corpo di Franca6, dal vicino di casa che assiste all’ennesima replica del derby vinto dalla Roma contro la Lazio e dagli aerei che qui al Quadraretto7 volano basso8.
Poi Franca esce dal bagno in accappatoio, i capelli ancora bagnati9, mi guarda mentre leggo e mi dice: “ho avuto una bella idea, perché non leggiamo qualcosa insieme stasera?”
Il mio no di risposta è talmente secco e ben scandito da risultare inappuntabile. Faccio una piccola pausa, poi aggiungo “vediamo un film10, casomai”.
Franca torna in bagno, accende il fon, io riprendo a leggere.
Ne esce piuttosto seccata.
“Qualcosa non va?”, le chiedo io.
“Perché non vuoi leggere con me?”
Aggravo la situazione: “leggere è qualcosa di estremamente intimo e personale”11
In quel momento vedo frantumarsi la nostra relazione sotto i miei occhi: cosa c’è di estremamente intimo e personale da non poter condividere con la donna che ami? E’ questa la domanda che mi pone Franca, con toni completamente diversi.
Allora cerco di recuperare la situazione, “hai ragione”, le dico, “leggiamo qualcosa insieme”
Non mi guarda in faccia, “no, non ne ho più voglia, guardiamo un film”12
“No, leggiamo”, le dico io.
Lei si mette a lavare i piatti, io vado in camera da letto e prendo dalla libreria una raccolta di racconti di David Foster Wallace13 che ho già letto qualche tempo fa.
Parto dal più breve, l’ultimo14.
Declamo: “Lei dice che non mi importa se mi credi o no, è la verità, poi tu credi pure a quello che ti pare. Quindi è sicuro che mente. Quando è la verità si fa in quattro per cercare di farti credere a quello che dice. Perciò sento di non avere dubbi”.
La partenza non è delle migliori: pare quasi che io la stia accusando di fare inutili capricci.
Inoltre, la mia lettura a voce alta è completamente diversa da come riesca ad immaginarmela nel cervello15: ha una fastidiosa cadenza dialettale che mi fa sentire un buzzurro.
L’irritazione continua a crescere andando avanti nella lettura.
E’ un racconto di tre pagine che riesce a farti immaginare tutto: i colori, i suoni, gli odori.
Ed è completamente diverso da altri testi che hanno fatto la fortuna di Foster Wallace, quelli dove i periodi sono interminabili eppure non perdono né in efficacia né in attenzione.
“Riusciva bene in tutto, David Foster Wallace” mi dico, mentre leggo.
Mi irrita, David Foster Wallace, perché continua ad infastidirmi e ad attrarmi: non riuscirò mai a scrivere come lui16.
Ecco, ogni volta che leggo David Foster Wallace non vedo l’ora di dare un ultimo sguardo alle cazzate che scrivo io e di gettarle via – cosa che farei comunque ma con molta meno fretta e rabbia –, la mia mente corre già davanti al computer e mi fa incespicare nella lettura mentre la voce di Amendola mi dice “faresti bene a lasciar stare”.
Finisco la lettura, “Franca ti è piaciuto?”
“Ti ringrazio per lo sforzo”, mi dice rimproverandomi, “ma forse hai ragione tu, leggere è qualcosa di estremamente intimo e personale”.
La abbraccio e cerco di farmi perdonare l’imperdonabile.
Intanto sogno e penso che magari un giorno anch’io riuscirò a scrivere qualcosa che si avvicini ad un qualsiasi racconto di David Foster Wallace17.
Per ora quel che posso fare per somigliargli è riempire questo paragrafo di note18.
Ho scritto un mucchio di cose terribili.
Lo prometto, è una cosa divertente che non farò mai più.