Forse un giorno morirò anchʼio, e se quel dì prima o poi arrivasse mi piacerebbe essere salutato senza applausi, memorial, rievocazioni dei conoscenti o intitolazioni, come meritiamo tutti noi uomini comuni. Non aspiro al paradiso né allʼeternità dell’anima: nessuna messa, solo un poʼ di musica, qualche battuta di spirito, il racconto di due o tre aneddoti divertenti e poi via, tumulatemi tutto intero. Non so se morirò soffrendo o nel sonno, di freddo o di fame, allʼimprovviso o dopo lunga agonia, per mano mia o per colpa di altri: ma in fondo chi se ne frega, e che umiliazione sarebbe ridurre tutta unʼesistenza – per quanto banale – al solo atto finale. Vorrei che non fosse pronunciata nemmeno una parola cattiva a proposito del mio passaggio sulla Terra, neanche un pettegolezzo – almeno nelle prime ore successive alla dipartita: è difficilissimo, lo dico per esperienza personale. Nessuna commiserazione o frase patetica per chi resterà, nessuna imbarazzante e silenziosa visita di circostanza, solo abbracci, telegrammi, messaggi sinceri a chi (forse) ne sarà addolorato. Se un giorno morissi anch’io, tra cento o centocinquantʼanni, come già accaduto a troppi prima di me, mi piacerebbe essere raccontato ai miei pronipoti per quel poco di buono che ho avuto lʼonore e il privilegio di dare e ricevere. Vorrei essere ricordato a braccia conserte, mi piacerebbe andare via raccontando una storia bislacca a un bambino che ride. Mi piacerebbe vedervi allontanarvi dalla mia tomba sulle note di Ladies and gentlemen, weʼre floating in space.