Ho molta ammirazione e gratitudine per quel che Marco Cappato e lʼassociazione Coscioni fanno perché sia riconosciuto il diritto allʼeutanasia, a una morte serena, alla libertà di scelta del momento della fine delle proprie sofferenze. Sono tragedie private sulle quali credo che nessuno dovrebbe permettersi di proferire parola, vicende dolorosissime che – come singoli individui e come collettività – ci mettono di fronte a una serie di paradossi e riflessioni sul senso e la dignità della vita. Banalità: per quel che mi riguarda, a esempio, credo che non chiederei alcuna morte per me, e che cercherei di convincere una persona alla quale voglio bene a resistere e non cessare la propria vita. Per vigliaccheria e egocentrismo non vorrei mai morire, perché sono certo che la nostra esistenza si chiuda qui sulla Terra e che poi potremo sopravvivere solo nel ricordo degli altri – e per un tempo abbastanza esiguo, almeno per quel che riguarda noi uomini mediocri. Penso che, se un giorno fossi limitato nella mia esistenza, in ogni caso mi piacerebbe continuare almeno a conoscere il destino del mondo e delle persone che ho accanto, e per questo spero di campare ancora almeno altri duecento anni: mi interessano le storie degli esseri umani fatti di carne e ossa, e in questo interesse trovo il senso per sopportare e supportare la vita, anche quando pare insopportabile e insupportabile. Al contrario, se avessi fede e credessi in unʼaffollata esistenza ultraterrena, non avrei difficoltà a scegliere per me e consigliare ad altri di metter fine a una troppo complicata esistenza terrena – e invece, ohibò, le maggiori resistenze al diritto alla propria morte giungono proprio dagli agguerritissimi assertori dellʼesistenza dellʼaldilà.