Voglio rivendicare, per me e per le migliaia di più-che-giovani come me, il diritto a una mediocrità felice e dignitosa.
Sono consapevole del fatto che su cento più-che-giovani almeno cinque sono realmente bravi, preparati e capaci e, dunque, non avranno problemi nel crearsi un futuro perché i migliori sanno sempre conquistare il loro spazio.
Gli altri novantacinque, invece, dovranno barcamenarsi tra collaborazioni occasionali e in nero, contratti interinali e a progetto, periodi di disoccupazione più o meno protratti nel tempo, fino ad arrivare al momento in cui saranno “troppo giovani per essere senior e troppo vecchi per essere junior” (cit.), avranno curriculum troppo lunghi per lavori semplici e troppo brevi per ruoli complessi e, in fin dei conti, avranno perso un sacco di tempo in miraggi.
E gli diranno che gli conviene andare all’estero e che, in fondo, sono ancora giovani, che “la vita si è allungata e c’è più tempo”.
Appena trent’anni fa un mediamente mediocre tra i novantacinque mediocri, ancor prima di diventare più-che-giovane, sarebbe stato assunto come impiegato all’Inps e avrebbe condotto una vita mediocre ma dignitosa e felice. Oggi il più brillante tra i novantacinque mediocri magari riesce a farsi assumere come operaio e, per questo, ad essere considerato un privilegiato.
Se queste possono essere considerate tutte estremizzazioni e paradossi che possono ferire la vecchia piccola e media borghesia italiana (da cui io stesso, orgogliosamente, provengo) e l’orgoglio operaio, non vedo perché non debba essere considerato rispettabile il dolore di gran parte di tre-quattro, forse cinque, generazioni di italiani escluse dalla redistribuzione del reddito e da una vita quantomeno simile a quella delle generazioni precedenti.
I più-che-giovani dovrebbero pretendere che i vecchi partecipassero della cosiddetta “crisi”: non privilegi senza oneri, ma una possibilità di partecipare, come quella avuta dai loro genitori e dai loro nonni, chiedendo a questi ultimi di farsi da parte e rinunciare a parte dei loro cd.“diritti acquisiti” (spesso conquistati sul sottile limite tra la legalità e l’illegalità, la maggior parte delle volte in regime di evasione fiscale).
Se i nostri vecchi moriranno mantenendo il loro tenore di vita da anni ottanta del novecento, senza prima averci assicurato il diritto ad una mediocrità felice e dignitosa, verranno altri mediocri più giovani a prendersi questo nostro diritto e i nostri pochissimi figli invidieranno quei compagni di scuola figli di “impiegato” che possono permettersi la vacanza in estate.
Una parziale rinuncia dei “vecchi” al loro stile di vita potrebbe essere un buon inizio “di futuro” per un Paese che, inadatto come è ad un’organizzazione rigidamente capitalista della società quale quella attuale, non può avere abbastanza spazio per tutti.
Un Paese, inoltre, che non segue le regole del mondo: in un Paese normale, infatti, i figli portano i genitori al cimitero.
Da noi, ad oggi, negandoci il nostro diritto ad una mediocrità felice e dignitosa, accade esattamente il contrario.