Inseguendo i ricordi di mio nonno
Commentando le prime partite di Ronaldo nell’Inter, mio nonno affermava che il centravanti brasiliano era forte, certo, ma mai quanto Guaita.
L’aveva incontrato la prima volta da ragazzino in una partita amichevole. Gerardo giocava centromediano nel Frosinone e il centravanti italo-argentino Enrique Guaita era già stato campione del mondo con la nazionale di Vittorio Pozzo e capocannoniere della serie A con la Roma.
Non potevo fare carriera nel calcio, il sabato sera m’intrattenevo con le donne e la domenica ero spompato.
La seconda ed ultima volta lo incontrò dopo la Grande Guerra nel torneo interbancario. Gerardo difendeva i colori del Banco di Santo Spirito, Guaita attaccava vestendo la maglia della Banca di Roma.
Quando entrai in banca me la passavo malino, dormivo su un tram notturno — il letto meno caro che conoscessi. Quando il Banco mi pagò il primo stipendio, a mio padre venne quasi un infarto: per guadagnare una cifra del genere lui, ferroviere, doveva lavorare per un anno intero.
Nel tempo intercorso tra quelle due partite, Guaita fece rientro in Argentina per evitare la chiamata alle armi.
Gerardo, invece, fu selezionato per un posto da paracadutista guastatore ad El-Alamein (Egitto).
Venimmo scelti per altezza, non eravamo in molti — a quei tempi — a superare il metro e ottanta. Ricordo che in Sicilia, invece, non erano in molti a superare il metro e sessanta. Andai lì per una bellissima professoressa di Messina. Conobbi i suoi genitori. Fuggii.
Gerardo passò prima dal Veneto dove s’innamorò della moglie di un ufficiale, imparò a tirare al biliardo e, grazie all’interessamento di un capetto fascista che non riusciva a pronunciare il suo cognome, giocò due partite con la squadra di calcio di Verona
Scrafagna, Cafagna, Crafagna, come diavolo ti chiami?
Il primo paracadute, Gerardo e i suoi commilitoni, lo indossarono — dopo mesi di addestramento — a Civitavecchia nel 1942, sotto gli occhi di Mussolini.
Tirava un vento incredibile.
Alcuni tra gli inesperti parà finirono in mare, altri sugli alberi, altri ancora svenirono al lancio o non riuscirono ad allontanarsi il necessario dall’elicottero. I più spaventati furono lanciati di forza.
Avevo fatto cose molto più pericolose con gli sci ai piedi.
I sopravvissuti furono premiati con una spilla fissata al bavero dal Duce in persona , gli altri furono tumulati a Tarquinia.
Questa spilla, vedi?
La memoria di Gerardo scappa poi all’Egitto, alla fredda notte in cui il suo battaglione attese invano una nave-cisterna carica di gasolio (che arrivò solo al mattino e piena d’acqua).
Fu un sabotaggio . Mussolini doveva cadere, noi dovevamo perdere la guerra. Fummo mandati al macello. Gli inglesi ci concederono l’onore delle armi, Churchill disse che non aveva mai visto nessuno combattere come noi.
Come andò a finire — per quanto mi riguarda — fu una vera fortuna: Gerardo ferito ad un piede ma vivo, guerra persa di lì a poco e nazifascismo sconfitto.
Sono stati anni pazzi, quelli. Ho avuto fortuna.
Inseguo nella memoria i ricordi di mio nonno, ché non vadano persi.
Nei lunghi silenzi cui è costretto quell’uomo di quasi cent’anni si nascondono altre mille avventure che a noi è dato solo immaginare.
Ricordi, nonno, quella volta che tu e Guaita prendeste a pallonate gli inglesi ad El-Alamein? Prendiamo un caffè, questa storia te la racconto io.
Gerardo, mio nonno ed amico, è morto lo scorso primo ottobre dopo quasi cento anni vissuti con una forza ed un’allegria fuori dal comune, lasciandomi in custodia un intero patrimonio di storie da raccontare.
“L’eterna rivalità tra Guaita e Ronaldo” è stato pubblicato con il titolo “Frosinone 1919” nel numero di Ottobre 2016 di Gente Comune, periodico gratuito distribuito nella Provincia di Frosinone