Alcune fonti indicano che Joe Jackson Sr., leggendario clown e acrobata di origine austriaca, sia stato non solo uno dei pionieri del ciclismo agonistico ma anche un campione del mondo di «bike polo» – o, in italiano, «polo su bicicletta».
Sport di squadra inventato in Irlanda nel 1891 da Richard J. Mecredy, il bike polo doveva richiedere abilità che a me sembrano sovrumane: il giocatore doveva mantenersi sui pedali adoperando una mazza per colpire una palla provando a segnare una rete, evitando di essere colpiti da mazzate di altri e di rovinare a terra con la testa fracassata. Quel gioco fu però un tale successo nei paesi di cultura anglosassone del tempo da diventare persino sport olimpico per l’edizione di Londra del 1908.
La leggenda vuole però che non sia stata l’esperienza nel bike polo a suggerirgli il numero acrobatico che lo rese celebre. Accadde probabilmente a Londra, durante una gara di trick, in un anno imprecisato. Il manubrio si staccò dalla sua bicicletta nel mezzo della competizione e, di fronte allo spettacolo di quell’uomo che pedalava e urlava tenendosi precariamente in equilibrio e agitando in aria il manubrio, il velodromo di Crystal Palace venne giù per le risate e gli applausi.
Jackson vide nel divertimento di quel pubblico un’occasione per entrare nel mondo dello spettacolo: perfezionò il numero e replicò l’incidente per decenni sui palchi di tutto il mondo, esibendosi su una bicicletta appositamente progettata che cadeva letteralmente a pezzi nel corso dello spettacolo.
Concluse la sua carriera e la sua vita itinerante a 66 anni, nel 1939. Si stabilì a New York, dove aprì un ristorante con sua moglie e suo figlio, continuando a esibirsi di tanto in tanto.
Morì proprio al termine di uno dei suoi ormai rari show, colpito da un infarto mentre il pubblico lo acclamava. Il mito vuole che le ultime parole dell’acrobata siano state «Li senti? Stanno ancora applaudendo».
Le vicende del leggendario Joe Jackson incrociarono quelle di Seymour Glass a Brisbane, in Australia, nel 1922. I genitori di Seymour – Les e Bessie Glass – si esibirono in quel periodo sullo stesso palco del clown austriaco «in un numero di “canzoni-danza-tip tap” piuttosto convenzionale ma […] di ottimo livello». Fu in quell’occasione che «il formidabile Joe Jackson con la sua bicicletta da acrobata nichelata che luccicava più del platino mandando bagliori fino all’ultima fila del teatro» fece montare Seymour sul suo mezzo fenomenale e gli fece fare «tutto il giro del palcoscenico sul manubrio della sua bicicletta».
Rievocando questo ricordo in Seymour. Introduzione, il primogenito dei Glass dirà al padre di non essere sicuro «di essere mai sceso dalla bellissima bicicletta di Joe Jackson».
È probabile che Salinger abbia riversato in Seymour alcuni tratti della sua esperienza umana. Seymour fu bambino dall’intelletto precoce e complesso, un ragazzo geniale dalla profonda spiritualità, uno studente universitario a 15 anni e un docente d’inglese a 19, uno psicopatico coi nervi a pezzi dopo l’esperienza sul fronte europeo e infine un suicida con un colpo di rivoltella in un albergo della Florida. Anche lo scrittore aveva operato nella Seconda guerra mondiale in Europa, finendo in un sanatorio di Norimberga per uno stress-post traumatico dopo la fine del conflitto – nella biografia di Slavenski è scritto anche che «quando l’8 maggio del 1945 l’esercito tedesco si arrese […] per paura di essere sopraffatto dalle emozioni Salinger si ritrovò incapace di affrontare il presente. Passò invece la giornata da solo, seduto sul letto, a fissare una pistola calibro 45 che stringeva tra le mani. Cosa avrebbe provato, si chiedeva, sparandosi un colpo attraverso la mano sinistra?». Anche Salinger, inoltre, aveva salvato sé stesso attraverso il fervore spirituale e religioso che mostra Seymour – scrive David Shields in proposito: «La Seconda guerra mondiale aveva annientato l’uomo e creato uno scrittore; la religione ha risolto l’uomo e ucciso la sua arte».
Forse la fiducia che il Seymour bambino ripone nella bicicletta che si decompone sotto il sellino di Joe Jackson è la stessa che il Seymour adulto e Salinger provano per le loro convinzioni spirituali; probabilmente il modo coraggioso con il quale Seymour bambino sale sul manubrio della bicicletta di Joe Jackson senza preoccuparsi di quello che potrebbe accadere è lo stesso con il quale Salinger affronta la scrittura senza considerare l’opinione degli altri; oppure, quando Seymour adulto afferma di non essere mai sceso dalla bicicletta di Joe Jackson, rivela di sentirsi ancora un bambino, o che solo nell’infanzia – prima dei dolori legati a quel cervello ingombrante e alla Seconda guerra mondiale – il primogenito dei Glass riesce a trovare sé stesso (come gli accade, per un tratto, con Sybil Carpenter in «Un giorno ideale per i pescibanana»).
È possibile che nelle storie di Seymour e Salinger convivano tutti e tre gli elementi, ma è anche probabile che sia uno sbaglio cercare connessioni profonde tra la narrativa e la biografia dell’autore. I suoi protagonisti erano contraddittori, depressi, irrealizzati, vittime di eventi indipendenti dalla loro volontà (la Seconda guerra mondiale, la morte di una persona cara), e – certo – riflettevano parte della sua personalità e delle sue passioni. Ma Salinger era solo uno scrittore di racconti e quelle di Holden e Seymour erano solo storie dalle quali – come sempre, e come credo sia giusto – ogni lettore ha tirato e tira fuori quel che nel momento della lettura lo mette più a suo agio.