Chissà cosa ha pensato Alexis Tsipras, leader della sinistra greca ed europea, nell’entrare nel Teatro Valle lo scorso sette febbraio, se si è sentito spaurito, come me e i miei due amici, nel trovarsi di fronte i fantasmi dei reduci della rivoluzione d’Ottobre e quegli ultimi guardiani del feretro di Togliatti che si rendono eterni in circoli culturali autoreferenziali ed autoreferenziati.
Questo greco che pare avere l’accento di un sovietico (cit. uno dei miei due amici), che somiglia all’ex allenatore dell’Inter Stramaccioni, anzi, no, a Mr. Bean, probabilmente non si aspettava di incontrare una platea di ottuagenari che annuivano e sorridevano commossi di fronte al paraculismo ellenico di chi vuole adulare una sinistra italiana che non esiste.
Tsipras è venuto a venderci un futuro europeo e poco importa se crederci davvero è un gioco intellettuale per pochi e se i rimasugli dei vecchi e nuovi partiti della sinistra italiana abbiano voluto utilizzare lui e i promotori della lista come cavallo di Troia per rientrare in gara.
Poco importa perché, stando a quell’oretta di monologo e a come l’ho interpretata io, mi pare che l’impostazione di Tsipras sia quella corretta.
Al contrario di Grillo, il greco non mira a distruggere una classe dirigente e le sue istituzioni.
Al contrario di Renzi, Tsipras non mira solamente a sostituirsi ad una classe dirigente.
Il discorso di Tsipras (sì, quello che ha emozionato la salma di Lenin, giunta al Teatro Valle giusto in tempo) ha un respiro sovranazionale e un’ottica di lungo periodo che sono estranei alla sinistra italiana: il greco – e non Renzi – ha veramente le caratteristiche di chi fa parte della generazione Erasmus, definizione orribile che tanto piace citare al nostro Presidente del Consiglio, quella generazione che si rende conto che da soli tristemente moriamo e che vorrebbe ricordare alla sinistra che quello occidentale contemporaneo non rappresenta l’unico sistema economico possibile.
Perché scrivere solamente ora di un incontro tenuto un mese fa?
Perché mi pare che, pur raccogliendo una parte di sinistra che mi risulta ormai di difficile comprensione e digestione, questa Lista Tsipras avrebbe potuto rappresentare – almeno nelle intenzioni – un ottimo spunto per un rinnovamento politico ed invece, da quel che riesco a leggere nel poco spazio che è riuscita a guadagnarsi sui giornali italiani, sembra che, per le prossime elezioni europee, del piccolissimo contributo nostrano al miraggio di una prospettiva socialista e di un’Europa pronta a superare i particolarismi nazionali – sia dal punto di vista politico che da quello economico – sia rimasta solamente la solita baruffa tra fazioni: vecchi brontoloni contro giovani dirigenti e quadri di partiti da due soldi, grandi intellettuali contro piccoli radical chic, progressisti contro ultras della politica.
Tutti trincerati, naturalmente, dietro l'”essere espressione” della cosiddetta “società civile”.