“Senza dubbio sei stato il miglior numero 9 che abbia mai visto. Senza gli infortuni saresti stato il migliore della storia. E sei anche una grande persona” (Diego Armando Maradona a Ronaldo Luis Nazario da Lima, giugno 2018)
1. SEI TU UN DIO?
“Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite”, dice Gesù nei vangeli. Noi bambini imploravamo, invece, il cristo del doppio passo di venire da noi. Con un atto di fede irrazionale – e, trattandosi di religione, non potrebbe essere altrimenti – gli affidavamo i nostri sogni di perenni sconfitti. Volevamo una possibilità, una speranza di poter ambire ai traguardi più alti. Una rivincita. Per noi bambini Ronaldo era qualcosa in più del più forte centravanti del mondo: era un fratello, talmente familiare e degno di amore che l’avvocato Prisco ammetteva candidamente di tenere la foto del fenomeno nel portafogli, insieme a quella dei genitori. Che per noi bambini Ronaldo fosse la cosa più simile a un Dio, poi, se ne rese conto in fretta la Pirelli che decise, in fretta e in furia, di immortalarlo come nuovo messia sul Corcovado.
2. ESSERE GIOVANI E INTERISTI AD ALATRI (FR), A.D. 1997
Il bizzarro funzionamento della mia mente fa sì che ricordi la data esatta della morte di Diana d’Inghilterra perché lo stesso giorno del celebre incidente a Parigi fu inaugurato il primo club per interisti di Alatri (FR) – che mi offriva non solo la possibilità di vedere in diretta televisiva tutte-tutte-tutte le partite della beneamata ma anche l’occasione di incontrare un mucchio di persone che condividevano un mio stesso problema. Essere interisti nelle scuole elementari e medie di Alatri (FR) dei primi anni novanta era sinonimo di solitudine (conoscevo sette interisti – otto contando anche mio padre – a fronte di centinaia di juventini e romanisti), sfiga (furono gli anni di Orrico, Pancev, Caio, Centofanti, Bergkamp e Jonk), vessazioni (per non essere preso di mira dai buzzurri potevo facilmente non essere il primo della classe, ma come potevo non essere interista?). Era il 31 agosto 1997 – dicevo – giorno della morte di Lady Diana, dell’esordio di Ronaldo in Serie A, della partita Inter-Brescia e di un malfunzionamento dell’impianto di ricezione satellitare che avrebbe potuto sabotare l’inaugurazione del club per interisti di Alatri (FR). Quando miracolosamente le televisioni del club per interisti di Alatri (FR) cominciarono a trasmettere le immagini della partita e l’Inter stava già perdendo uno a zero, altrettanto miracolosamente – e in pochi minuti – uno sconosciuto uruguagio mise a segno due reti impossibili che aprirono la strada allo scudetto più improbabile e a una terribile lunghissima adolescenza.
3. QUATTRO PARTITE CONTRO LA LAZIO
Dal settembre del 1997 in avanti Ronaldo segna cassette di gol, poi il 22 aprile del 1998 l’Inter subisce una sconfitta per 3 a 0 a Roma contro la Lazio. Se quel giorno la beneamata si allontanerà definitivamente dall’assegnazione formale dello scudetto, poco più di un mese dopo – in finale di Coppa Uefa al Parco dei Principi, sempre contro la Lazio – Ronaldo ubriacherà con un tris di finte Marchegiani e vincerà il suo primo e unico trofeo con la maglia interista. Per uno strano scherzo del caso, ancora la Lazio e lo stadio Olimpico saranno poi spettatori di due eventi drammatici della carriera del centravanti brasiliano che lascerà sul campo prima – il 12 aprile del 2000 in Coppa Italia – un tendine rotuleo e poi – il 5 maggio 2002 – uno scudetto perso e un grande amore. Abbiamo pianto per i suoi dolori, lo abbiamo atteso, amato, coccolato. Ronaldo meritava una carriera più importante di quella che l’Inter gli poteva offrire. Comprenderemo le sue ragioni quando fuggirà a Madrid per vaghi dissapori con Hector Cuper e per quella matta voglia di tornare il Migliore. Gli daremo una pacca sulla spalla e la nostra (amara) benedizione.
4. UN ESSERE UMANO
A Madrid Ronaldo non tornerà il Migliore ma vincerà parecchio, tanto da annoiarsi e rimpiangere l’amore incondizionato di noi bambini. Proverà a tornare tra noi ma troverà le porte chiuse. Busserà a quelle dei vicini, gli apriranno. Ci sfiderà, offeso e arrabbiato. Alla prima occasione segnerà ed esploderà in sberleffi, porterà le mani alle orecchie per sentirci imprecare. “Non era un Dio”, mentimmo, “e nemmeno un fratello. Era un banalissimo stramaledetto essere umano”. Non ho mai approvato le scelte degli ultimi scampoli di carriera di Ronaldo, e tuttavia il distacco e la maturità che solo un triplete può far conseguire hanno appianato ogni dissapore: gli dei si manifestano in varie forme e – ne sono certo – c’era anche Lui tra noi, in piazza a Milano, in una notte festante di maggio.