Non ho nulla da dire sulla prematura morte di David Sassoli tranne che quando un uomo muore dovremmo essere tutti dispiaciuti e che, almeno in pubblico, il presidente del parlamento europeo possedeva toni gentili che in Italia non sono per nulla comuni. Invece – al di fuori di chi ha davvero conosciuto Sassoli e di chi del racconto fa il proprio mestiere – su questi stramaledetti social media lo vedo da un lato tirato per la giacchetta per raccontare incontri fugaci e conversazioni di circostanza (per rendersi protagonisti di una storia che non ci appartiene, un poʼ come nel medioevo si spargevano reliquie di san Francesco nelle chiese di tutta Italia) e dallʼaltro al centro di unʼirrilevante e delirante questione sulle cause del decesso, mossa a sostegno delle tesi scientifiche sostenute dal macellaio sotto casa. È un vilipendio di cadavere, quello destinato al defunto uomo pubblico, che un tempo si faceva chiacchierando nei bar e lì moriva innocuo dopo un bicchiere («una volta Andreotti mi ha stretto la mano», «uno che lo conosce mi ha detto che è morto perché si drogava», «la prendi unʼaltra birra?») e invece qui resta scritto, spesso con parole utilizzate con accezioni sbagliate («onore», dio mio, «onore»!), alla mercé di tutti e a testimonianza del fatto che ormai pochissimi tra noi, in pubblico, si vergognano del loro provincialismo e dei loro toni sgarbati.