Mi pare unʼimmagine simbolicamente forte quella dei sei nazionali italiani che ieri, allʼinizio della partita contro il Galles, hanno deciso di non aderire alla campagna contro il razzismo – tanto più se si pensa al fatto che due dei cinque “inginocchiati” nazionali (Toloi e Emerson Palmieri) sono nati e cresciuti fuori dal nostro Paese.
Se è ovvio che il gesto ha un valore meramente simbolico e che – come hanno detto in tanti – «non cambierà nulla», appena una testimonianza di adesione personale al sacrosanto principio di non discriminazione su base etnica – che poi, anche per Costituzione, dovrebbe essere un principio assodato della vita sociale in Italia –, penso che non esista un buon motivo per non aderire allʼiniziativa se non si è razzisti, né che sia possibile essere imparziali sullʼargomento.
A memoria, anzi, è probabile che non prendere parte a quella generale manifestazione di solidarietà verso le vittime del razzismo – e distinguersi in modo netto dai colleghi rappresentanti delle nazioni più inclusive e, mi permetto, socialmente evolute – sia il gesto politico più forte mai compiuto da un calciatore della nazionale italiana.
È un gesto che non può essere definito in altro modo se non esplicitamente razzista, anche violento – forzando un poʼ la mano ci si potrebbe chiedere se è giusto che chi non si riconosce in un valore fondamentale della Costituzione possa rappresentare lo Stato.
Credo che quel gesto (o, meglio, quel non gesto) corrisponda purtroppo ai sentimenti di molti italiani comuni, allo stato di continua erosione dei diritti civili e sociali che scatena battaglie dei deboli contro i più deboli, alla mancata consapevolezza che al nostro attuale privilegio di italiani e/o cattolici e/o caucasici e/o eterosessuali e/o sani e/o benestanti e/o incensurati potrebbe rispondere domani una rivendicazione (per noi o per i nostri cari) verso terzi di quei diritti che non ledono la libertà di nessuno e che fatichiamo a riconoscere oggi ad altri individui.
Credo che abbia anche un poʼ a che fare con lʼeroismo e lʼerotismo del politicamente scorretto, locuzione che nellʼuso comune della lingua italiana purtroppo non corrisponde più ai graffi della satira e dellʼarte, né a quelli della chiacchiera avvinazzata o della polemica dura.
Il caso che ha riguardato Gennaro Gattuso negli ultimi giorni mi pare esemplare della differente percezione della tutela della dignità dellʼaltro che esiste nel Regno Unito. Ecco i fatti, in breve: alcune frange della tifoseria del Tottenham hanno accusato di essere omofobo, misogino e razzista per alcune dichiarazioni e comportamenti che in Italia hanno probabilmente avuto scarso risalto, impedendo di fatto lʼingaggio dellʼallenatore da parte della squadra londinese e facendo inalberare amici e sostenitori contro la famigerata dittatura del politicamente corretto.
Sono dʼaccordo: è impossibile valutare se Gattuso sia nel profondo realmente omofobo, misogino e razzista o se abbia agito e parlato spesso senza testa, per vacuità o avventatezza. È anche difficile valutare se i nazionali italiani che hanno deciso di non inginocchiarsi siano consapevoli del loro razzismo. Coi nostri comportamenti pubblici e le nostre affermazioni, tuttavia, determiniamo lʼidea che gli altri hanno di noi – e non è mai tardi per chiedere scusa per una valutazione frettolosa o superficiale.
E che sia stucchevole il politicamente corretto a tutti i costi (vedi la linguisticamente indigesta schwa) mi pare fuori di dubbio; che il politicamente scorretto sia diventato un lasciapassare con il quale dare legittimità a idee discriminatorie e antilibertarie è però inaccettabile.
Cʼera un interessante passaggio sul tema del politicamente corretto in una bella intervista di Simonetta Sciandivasci a Luigi Manconi pubblicata dal Foglio. Ne ripropongo una parte qui.
Su cos’altro ha cambiato idea?
Ho tenuto per dieci anni sul Foglio una rubrica che si chiamava Politicamente Correttissimo e oggi, invece, una delle cose che più mi manda in bestia è la lotta mondiale al politicamente corretto, del quale ho imparato a riconoscere le giuste motivazioni, pure alla luce delle innegabili esagerazioni, ma sa, nella fase adolescenziale tutti i movimenti sono dirompenti, senza regole ed eccessivi perché sono espressioni di una euforia collettiva. Al fondo di questo movimento specifico c’è una gusta ragione morale, che nasce intorno a un principio sempre trascurato, ovverosia che uno dei diritti fondamentali è quello al proprio nome: il diritto delle persone e delle comunità a scegliere la definizione di sé. La rivendicazione del proprio nome è premessa di ogni affermazione di identità e condizione del riconoscimento della propria dignità: questo è il motivo per cui il pol corr suscita lo scandalo di tutti i reazionari di destra e di sinistra. Da anni sento fare ironia sulla definizione di operatore ecologico che è stata data agli spazzini. È evidente che è letterariamente impropria, abbastanza ridicola e pretestuosa, ma ci si è arrivati perché il termine spazzino, nel tempo, aveva finito con l’assumere un significato denigratorio. Sarebbe quindi giusto non tornare a spazzino, bensì trovare un’altra definizione non risibile. Con tutte le buone ragioni per contestare gli eccessi, il politicamente scorretto mi è parso negli anni una specie di espediente per poter continuare impunemente a chiamare frocio il frocio e negro il negro.