Dove vanno a finire gli zampognari quando Cristo è sceso dalle stelle, dove vanno a morire dopo le fatiche del Natale? Alcuni dicono che smettano le pelli di pecora e tornino alle loro vite anonime, mia nonna sostiene che vadano a ripopolare la Piccola Fiuggi, zona di espansione residenziale perduta tra le colline ciociare.
La vecchia dice di aver sentito suonare una zampogna dalle parti della Piccola Fiuggi in piena estate – nonostante (come tutti sanno) lo strumento e i suoi suonatori spariscano dalla vista e dalla memoria con la fine dell’inverno – ed ipotizza che magari Sisto Rossi si rifugiò proprio in quelle zone dopo l’esclusione dal festival di Pitocco del 1980.
La storia è celebre: Sisto Rossi aveva inventato un nuovo modo di suonare la zampogna, adattato lo strumento alle sue necessità e anticipato di dieci anni il grunge; la giuria del festival gli preferì il virtuoso dell’organetto Sistino Bianchi, il pubblico votò la regina della ciaramella, Jolanda Scaccia; Rossi allora lasciò un biglietto in una camera d’albergo – “ho voluto bene al pubblico di Pitocco e gli ho dedicato inutilmente la mia vita, me ne vado come atto di protesta contro un pubblico che manda Scaccia in finale e ad una commissione che preferisce l’organetto alla zampogna” – e sparì nel nulla.
Nel cammino verso la Piccola Fiuggi alla ricerca di Sisto Rossi incontro il mio amico Matteo, lo informo della teoria di mia nonna e lo convinco ad accompagnarmi. Anche lui ha molto amato Rossi, mi dice “la zampogna di Rossi è forse sparita dalla mia vista, ma non è mai sparita dalla mia memoria – nonostante la fine dell’inverno”; “è così anche per me”, gli rispondo io.
Raggiungiamo la Piccola Fiuggi che ormai è notte, c’è una festa in una casa al limitar di un bosco – “ragazzi, entrate!”, dice uno zampognaro all’ingresso.
Non ascoltavo una zampogna grunge come quella da più di trent’anni ormai, Sisto Rossi suona al centro della sala, attorno a lui centinaia di zampognari che cantano e ballano – “bevete, cantate, ballate!”
Poi stiamo per avvicinarci a lui, si spengono le luci, un uomo mi getta a terra e si butta sopra di me, sento il suono di un organetto, “saltarello akbar”, urlano, “saltarello akbar”.
Tutto è calmo ora, scosto il cadavere di Sisto Rossi che mi ha fatto da scudo, accendo le luci, il zampognaro grunge ha una roncola conficcata nella schiena, cammino tra i corpi macellati alla ricerca di Matteo.
Lo trovo che fuma, al limitar della casa al limitar del bosco – “è finito l’inverno”, mi dice.
“Già”, gli dico io, “vieni, torniamo a casa”.