Ieri mi è capitato di camminare a Roma, nella strada dove ho abitato per dieci anni e nella zona dove ho lavorato per due. Non è rimasto nulla al suo posto, mi pare, tranne qualche fast food americano, un tabaccaio, un paio di cinema. Alla stazione Termini, invece, dove cʼera Ricordi oggi cʼè Euronics. È passato un mucchio di tempo, mi sono detto, e poi, di sera, sono tornato a San Lorenzo. E nonostante sia un quartiere molto malandato, nonostante non vi abbia mai abitato né lavorato, ho avuto lʼimpressione che quello sia lʼunico luogo fisico dove ho la sensazione di essere ancora a casa, accolto, al sicuro, senza paura, come quando avevo trentʼanni. «Vorrei avere trentʼanni per sempre» ha detto L. ieri sera in un pub, e sono dʼaccordo con lui. Non venti, non venticinque, non dieci, ma trenta. È un pensiero di una malinconia assurda, me ne rendo conto, fissare la propria dimora ideale in un momento, eppure lʼistinto mi dice che mai scambierei il luogo dello spirito nel quale vivo adesso in compagnia di mia figlia C. con quel luogo del tempo e che, tornando indietro, se per abitarlo ci fosse un solo modo, rifarei tutto identicamente fino a questi vicini trentotto.