Nell’infanzia e nell’adolescenza sono stato appassionato vero di ciclismo e pallacanestro, poi mi è passata. Da tanti anni non penso al destino dei Lakers, da tantissimo tempo non pensavo a Kobe Bryant – del quale avevo assunto il nome (storpiandolo) nelle chat IRC, l’ospite fisso dello sfondo del mio Windows 98. Mi sono chiesto perché mi senta tanto coinvolto dalla morte di un ragazzo che mi era estraneo da parecchio, se ha qualcosa a che fare con la fine della gioventù, col ricordo delle notti davanti alla TV per guardare i playoff, con le partite registrate su videocassette sovrascritte più volte da guardare con il mio amico Checco il giorno dopo. Ma, pensandoci bene, non credo che il mio magone abbia a che fare con tutto questo – il che non sarebbe neanche poco – ma con la gratitudine per le emozioni regalate e la commozione e l’angoscia per il destino di tutti noi – perché almeno gli eroi non dovrebbero morire mai. Niente, da quando ho smesso di essere cinico vivo un po’ meglio.