Un appunto mi permette di realizzare che il mio ricordo felice – quello che con un poʼ di polvere di fata permette di volare fino allʼIsola-che-non-cʼè – risale a due anni fa esatti, quando C. mise il naso fuori dal palazzo per la prima volta dopo cinquanta giorni di reclusione forzata, stringendomi la mano per paura che un covid potesse assalirla da un momento allʼaltro. Attraversammo la strada, il corso era deserto. Non cʼera nulla da temere, mollò la presa. «Chi arriva prima al bar!», mi sfidò C. ridendo, e prima che avessi il tempo di capire iniziò a correre saltellando con la gioia dei suoi quattro anni quasi cinque, mi stracciò, alzò le braccia in segno di vittoria.
I ricordi: cose preziose