C’è un simpatico aneddoto raccontato da Nino Manfredi – e raccolto da Nicola Manuppelli nel suo «A Roma con Nino Manfredi» (Giulio Perrone Editore) – che riguarda da vicino chi come me porta nella sua dizione il marchio dello stramaledetto basso Lazio, e che lascio qui per tutti noi marchiati del «sabbado».
Ma ci metti tre B quando pronunci sabato? mi chiedevano in Accademia. E io: Sì! Ce ne mettevo proprio tre! Una me la portavo dalla Ciociaria e due da Roma. Dopo tre mesi, se volevo rimanere ancora in Accademia, mi resi conto che dovevo imparare bene la dizione, volente o nolente, e alla fine ci riuscii. Soddisfatto, dicevo tranquillamente Giorgio con la prima O completamente chiusa e con la bocca a culo di gallina e Ci vediamo sabato rigorosamente con una B sola e con la T finale. Un giorno mentre andavo ar bijardo, dissi al mio amico Giorgio che veniva sempre a gioca’ a boccette lì: Giorgio, allora, ci vediamo sabato. Mi scappò così, in italiano e dizione perfetti, con la O chiusa, una sola B e la T finale. Nella sala biliardo mi guardarono tutti con sospetto, si guardarono tra loro e poi uno di loro, rivolto al mio amico Giorgio, sottovoce, gli disse: ‘A Giò nun c’annà, me sa che questo è frocio!