“Perché negare l’evidente necessità del ricordo?” – cito, abusandone consapevolmente, l’Emmanuelle Riva di Hiroshima mon Amour.
Matteo, il protagonista di questa insonne notte torinese raccontata da Dario Buzzolan, è costretto a ricordare la sua travagliata adolescenza da un articolo di giornale: un caso giudiziario riaperto dopo più di trent’anni, una festa tra ragazzi terminata con due morti di cui non ha mai avuto il coraggio di parlare neanche alla sua (amata) ex moglie.
Se trovo il coraggio è il racconto di una notte frustrante ma non solo: Buzzolan racconta il 1980 vissuto dal Matteo ragazzo, una Torino politicizzata, dura, classista, un’Italia che si affaccia, forse inconsapevolmente, ad un’immensa crisi economica e di valori.
Probabilmente oggi non si muore più tanto di eroina, forse non esistono più le classi sociali e le ideologie o, ancora, la morte e gli squilibri della società hanno solo cambiato forma. Ma siamo poi così sicuri che l’Italia di oggi sia, nel complesso, tanto diversa e non, addirittura, peggiore di quella di allora raccontata da Buzzolan?
Magari saremmo divenuti uomini più consapevoli e avremmo fatto del nostro un Paese migliore se non avessimo negato per tanto tempo l’evidente necessità del ricordo, come fatto a lungo da Matteo, come quel tassista che, alle quattro del mattino, gli dice: “Sono anni che non ricordo le cose. Mi passano di mente, e io non faccio niente per cercarle. Mi sta bene così. Mi risparmio un sacco di rogne”.O magari ricordiamo tutto benissimo: ma allora, quanto ci eccita il masochismo?
Pubblicato da Il Mucchio Selvaggio on-line il 24 aprile 2014