La prima volta che Riccardo Marra mi ha parlato del suo cosmonauta era il 2019. Nel frattempo cʼè stata una pandemia e Fausto Cutugno – uomo dello spazio dal cognome da “italiano vero” – ha preso la strada per le stelle e poi è riatterrato, è diventato un eroe ed è infine tornato a casa sua, in provincia, in Sicilia, dove Riccardo lo ha finalmente accolto e costretto in un libro, «Giorni da astronauta» (Augh Edizioni). Lì rinchiuso, Cutugno, smessa la tuta spaziale e i panni dellʼuomo straordinario, non ha potuto negare la sua ordinarietà in fatto di rapporti umani e fallimenti, amorosi e amicali. Di più, in quel ritorno a una dimensione provinciale, Fausto si è scoperto anche sradicato dalla sua terra di origine, dove “gli altri” hanno proseguito le loro vite cristallizzando la sua figura anomala («ci vorrebbe più rispetto per noi eccezioni» scrive Fausto, stanco, a metà del suo percorso), come se nulla in lui fosse mutato rispetto al giorno della sua partenza dalla Sicilia. Moltissimi espatriati provinciali del nostro Paese hanno sentito il bisogno di affrontare nelle loro opere il tema della grazia e del tedio a morte del vivere in provincia, storie e sentimenti che non sono di tutti ma appartengono a tantissimi. Riccardo Marra – al suo primo romanzo – ha voluto qui inserirsi in quel filone, indicando al suo conterraneo stellare Cutugno una via dʼuscita, offrendogli una possibilità di liberarsi definitivamente da quel disagio. E Fausto – infine – si è sfogato così con i lettori: «Avevo ucciso la mia città. O meglio, avevo ucciso il mio rapporto con la città. E ora mi sentivo bene. Benissimo». Ben fatto, Fausto. Ben fatto, Riccardo.
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