Gianni Rodari è stato forse il più grande giocoliere della lingua italiana. Ha scritto racconti surreali bellissimi, classificati frettolosamente come narrativa minore, e un mucchio d’altre cose: filastrocche, elzeviri, manuali, articoli di cronaca, poesie.
Mi è capitato in questi giorni di incontrare una poesia che Rodari scrisse durante uno dei suoi viaggi in Unione Sovietica – prima ne ho incrociato un frammento nella biografia Lezioni di fantastica di Vanessa Roghi (Laterza) e poi l’ho trovata intera in Cipollino nel paese dei Soviet di Anna Roberti (Lindau), due volumi pubblicati quest’anno in occasione del centenario rodariano.
A. è Amedeo, il migliore amico di Gianni Rodari, mandato a morire dal regime fascista nella scalcagnata campagna italiana di Russia.
IL TRENO DEL CAUCASO
Ed io rimasi solo
tra l’Europa e l’Asia
rotolando ai piedi dell’Elbrus
con un fischio lamentoso
rimasi solo e atterrito
come l’uomo che si sveglia in treno
e capisce che non tornerà dalla guerra
A. dorme in terra russa
ha tutte le Russie per cimitero
una tomba grande come il mondo,
se c’è un mondo grande come una tomba,
una steppa sotto la neve
sotto la neve sotto la steppa
una steppa intera per un ragazzo
avvolto in un lungo mantello
gonfiato dall’astuccio del suo violino
parlavamo di Kant nel bosco afoso
parlavamo di Kant, pedalando
tra le verdi colline
azzurro il lago dorato il vino
ero inquieto e lui daccanto
perché non sognava
né si disperava.