La Fazi Editore, giunta alla quattordicesima ristampa di Stoner in poco meno di due anni, ha deciso di apporre alla copertina rigida del romanzo una fascetta promozionale che riporta i giudizi sul libro di Ian McEwan e, addirittura, Tom Hanks.
Scrive l’attore americano che Stoner “è una delle cose più affascinanti che vi capiterà mai di leggere” e, sebbene il giudizio di Tom Hanks riguardo un libro possa essere considerato autorevole quanto delle considerazioni di Umberto Eco sul campionato di calcio, difficilmente gli si può dar torto.
William Stoner, unico figlio di genitori contadini, professore universitario, un libro pubblicato, due amici (uno morto in guerra), infelicemente sposato e padre di una figlia che gli sfugge: una vita che risulterebbe monotona e, a tratti, insignificante quella raccontata da John Williams se non fosse per la passione, l’attenzione e l’affetto che lo scrittore mostra verso il suo personaggio.
E’ solo merito di Williams (e non è dato sapere come faccia) se questa cronaca di una vita che non interessa a nessuno – trecentoventidue pagine fatte di periodi brevi, molti dialoghi formali e leggerissimi scarti nell’andamento – riesce a creare un’empatia fuori dal normale tra il personaggio e il lettore, il quale si innervosisce quando Stoner potrebbe farcela ma tentenna e gioisce con lui quando, pochissime volte, ce la fa.
E’ merito della Fazi Editore, infine, aver scovato e proposto in Italia, a distanza di quasi cinquant’anni, un romanzo amabile che non riesce mai ad annoiare e che all’ultima pagina, quando il protagonista muore tenendo tra le mani il suo unico libro (che tu, nel frattempo, assieme a tutti i personaggi comprimari, avevi dimenticato avesse mai scritto – eppure “una piccola parte di lui, che non poteva ignorare, era lì, e vi sarebbe rimasta”), ti fa mormorare “povero Stoner” come se a mancare, in quel momento, fosse un amico. Un amico vero.
Pubblicato da Popoff il 10 marzo 2014