Nel 2008 Mark Oliver Everett scrisse una bellissima autobiografia intitolata Things the grandchildren should know – proprio come la canzone che chiude l’album doppio dei suoi Eels Blinking Lights and Other Revelations. Il libro fu pubblicato in Italia nel 2009 da Elliot con un titolo improprio e poco accattivante (Rock, amore, morte, follia e un paio d’altre sciocchezze che i nipotini dovrebbero sapere) e diventò – purtroppo – difficilmente reperibile dopo qualche anno. Tre pagine sono dedicate a Elliott Smith, col quale il cantautore condivise esordi ed etichetta (la DreamWorks Records) nella seconda metà degli anni novanta: me ne sono ricordato oggi pomeriggio, mentre ascoltavo Waltz #2 su Spotify, e poi – grazie alla mia buona memoria – ho ritrovato i passaggi in questione nella mia copia in lingua originale e ne ho tradotto alla carlona una parte per lasciarla, come traccia, nel mio trascuratissimo blog minimalista.
Una mattina, durante il tour, il telefono della mia stanza di hotel a Saint Louis mi svegliò per annunciarmi la morte del nostro amico Elliott Smith a Echo Park. La prima volta che incontrai Elliott, nel 1996, avevo preso da parte un amico in comune e gli avevo detto “Questo ragazzo mi preoccupa”. Era un giovane molto dolce e silenzioso e sembrava che non avesse alcuno strumento di difesa – ma lui si stava facendo strada nel mondo della musica, che non è uno dei posti migliori da frequentare per chi non sa proteggersi. Io mi sentivo molto più forte e sicuro di Elliott, e questo dovrebbe dirvi qualcosa […] Trovò infine un modo per difendersi e, negli ultimi anni, la sua personalità subì un cambiamento enorme a causa delle droghe che stava assumendo. Mi arrivarono all’orecchio storie che raccontavano di come lui comprasse una macchina fotografica usa-e-getta dopo l’altra per scattare foto a un’automobile che sosteneva lo seguisse ovunque. Una notte Elliott mi diede il suo numero di telefono e mi disse che desiderava suonare la chitarra con me per vedere cosa ne sarebbe venuto fuori – e io lo avrei voluto davvero. Ho aspettato troppo a lungo per chiamarlo. Quando entrò nel suo periodo più buio, ero troppo spaventato per farmi coinvolgere dalle sue storie: penso che in quel momento la situazione di Elliott avesse molto in comune con quella di mia sorella Liz e – mi dispiace dirlo – io ne avevo già abbastanza.