Antonio Coletta Autore, ufficio stampa, redattore editoriale

Morte di uno scrittore per l’infanzia. Piccola rassegna stampa

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Era il 14 aprile del 1980 ed era già sera quando l’inaspettato annuncio della prematura morte di Gianni Rodari arrivò nelle redazioni dei quotidiani italiani.

«Avanti!», «il manifesto», «la Repubblica» e «il Popolo» non trovarono spazio per la notizia in prima pagina. Il «Corriere della Sera» e «La Stampa», invece, ricavarono dei box che rinviavano a brevi ricordi dell’autore nelle pagine interne, firmati rispettivamente da Giulio Nascimbeni e Ernesto Ferrero:

Adesso che Rodari è immaturamente scomparso, non sembri un mesto elogio dire che tutta la sua vita di scrittore e di poeta è stata dedicata […] all’«arte di inventare». I libri sono lì a testimoniarlo […] Da quando nel 1970 aveva vinto il premio internazionale Hans Christian Andersen, definito «il Nobel della letteratura per ragazzi», Rodari era ormai indicato come l’Andersen italiano. Non posso dire se questo solenne attributo le rendesse orgoglioso o lo lasciasse indifferente.

(Giulio Nascimbeni, È morto Gianni Rodari un «Andersen italiano», «Corriere della Sera», 15 aprile 1980)

Gianni Rodari, 59 anni, giornalista e «scrittore per bambini», come egli stesso si definiva, è morto improvvisamente in una clinica romana ieri pomeriggio, per un collasso seguito a un intervento chirurgico. Un adagio orientale, su cui Gianni Rodari aveva costruito una delle sue storie più esilaranti, I misteri dell’isola di San Giulio, vuole che l’uomo il cui nome è continuamente ripetuto non muore mai.

(Ernesto Ferrero, Rodari, un mago della fantasia, «La Stampa», 15 aprile 1980)

I giornali con i quali aveva collaborato in vita, invece, diedero adeguato rilievo alla notizia. Il 15 aprile del 1980 «l’Unità» ricavò lo spazio per un titolo nel taglio basso della prima pagina (È morto Gianni Rodari, il poeta dell’infanzia) e per un ricordo di Marcello Argilli a pagina quattro che non si limitava all’elogio dell’autore per bambini ma anche alla celebrazione del Rodari giornalista e militante comunista:

Rodari ci ha insegnato a sorridere. Milioni di bambini in tutto il mondo hanno riso, sognato, fantasticato leggendo le sue fiabe, i suoi romanzi, le sue poesie. Rodari, e tutto l’arcobaleno della sua fantasia, è loro, dei bambini di tutto il mondo. Ma Gianni è anche nostro, di chi si è ispirato a lui, di chi ha imparato da lui il mestiere di scrivere per i bambini e i ragazzi, di chi ha imparato da lui a sorridere. Questo soprattutto commuove in questo momento, il ricordo di un insegnamento. Il sorriso delle certezze faticosamente conquistate da un artista, delle certezze di un comunista, il compagno che ha diretto giornali da non dimenticare come «Il Pioniere» e «Avanguardia», che in redazione ci insegnava il mestiere, che ci educava delicatamente alle forme, alle parole e alle fantasie per rivolgerci a quel pubblico che si chiama infanzia e adolescenza.

(Marcello Argilli, L’improvvisa scomparsa di Gianni Rodari, «l’Unità», 15 aprile 1980)

«Paese Sera», quotidiano pomeridiano sul quale Rodari teneva una rubrica quotidiana utilizzando lo pesudonimo «Benelux», dedicò invece a Rodari la parte alta della prima pagina (È morto Gianni Rodari. Sapeva parlare e farsi capire da gente semplice e bambini)e un fondo di Tullio De Mauro, «che fin dal 1974 definisce Rodari un classico, nel senso usato da Italo Calvino, suscitando l’ilarità dello stesso Rodari che se lo appunta sulla giacca con un cartello» [Vanessa Roghi, Gianni Rodari, un meraviglioso intellettuale, internazionale.it, 14 aprile 2020].

A «Paese Sera» aveva lavorato giovanissimo anche Giampiero Mughini che quarant’anni dopo, su «Il Foglio», ha ricordato così la trascuratezza con la quale i quotidiani si occuparono della morte di Rodari:

Andai a intervistarlo nella sua casa romana di Monteverde, una casa di borghesia discreta, garbata, niente a che vedere con l’agio e la ricchezza. Non molto tempo dopo quell’incontro, il 14 aprile 1980, lessi sui giornali che Rodari era morto di un collasso cardiaco, e aveva appena sessant’anni. Sulla stampa non comunista non un solo articolo ricordò questo grande scrittore italiano del secondo Novecento.

(Giampiero Mughini, Il più soave degli italocomunisti che scrisse libri per ragazzi dai 12 ai 90 anni, «Il Foglio», 2 giugno 2020)

Quando Mughini scrive che il giorno seguente alla morte «sulla stampa non comunista non un solo articolo» ricordò Rodari commette un errore (come già visto non ne scrisse «Il Manifesto» e, pur non trovandogli molto spazio, ne scrissero invece «Corriere della Sera» e «La Stampa») ma quella sensazione di mancato riconoscimento del valore – della quale Mughini parla a distanza di 40 anni – dovette essere abbastanza condivisa tra gli amici e i colleghi dello scrittore.

Fa notare Vanessa Roghi nel suo Lezioni di fantastica (Laterza, 2020) che, contrariamente a quanto avvenuto per Rodari, il giorno successivo alla morte dello scrittore le prime pagine e le redazioni culturali italiane non ebbero difficoltà nel trovare spazio per la notizia della scomparsa di Jean-Paul Sartre, avvenuta poco dopo le ore 21 all’ospedale Broussais di Parigi. Il filosofo francese era ormai ricoverato in condizioni di salute precarie da quasi un mese e, con ogni probabilità, i coccodrilli erano pronti da un pezzo: fu così che «la Repubblica» – che il giorno prima non aveva dato spazio a Rodari – dedicò al filosofo francese il taglio alto della prima pagina; il «Corriere della Sera», invece, gli riservò la fascia bassa della prima rinviando a un lungo articolo di Alberto Cavallari in seconda.

A questo proposito, ha scritto la stessa Roghi sull’edizione on line di «Internazionale»:

Il 15 aprile muore Jean-Paul Sartre, l’intellettuale novecentesco per antonomasia. Si cerca invano così, sulla stampa non comunista di quei giorni, un necrologio degno di questo nome per lo scrittore di Omegna. Si trovano, invece, sulla «Repubblica», due pagine dedicate a Sartre e una domanda, la cui risposta è affidata a Pier Aldo Rovatti: cosa gli dobbiamo? Forse, nel 1980, il senso di un debito verso Sartre è tale da far venire meno il dubbio che la stessa domanda si possa porre, proprio nella pagina accanto, anche su Gianni Rodari di cui viene riconosciuto il genio ma non il lascito: in pochi, davvero in pochi, si chiedono in quel momento «cosa gli dobbiamo», come se la sua eredità fosse impalpabile, non quantificabile, destinata a scomparire visto che ogni bambino prima o poi diventa un adulto e di Rodari sembra non avere più bisogno.

(Vanessa Roghi, Gianni Rodari, un meraviglioso intellettuale, internazionale.it, 14 aprile 2020)

La stampa legata al mondo comunista, nel giorno del lutto per Sartre, diede in ogni caso spazio e lustro all’intellettuale e militante Rodari: «il manifesto» pubblicò un ricordo redatto da Antonio Faeti; «l’Unità» dedicò alla memoria di Rodari quasi tutta la sua terza pagina, occupandone metà con un lungo articolo di Tullio De Mauro intitolato Perché è stato tanto ignorato, il cui sommario ricordava come lo scrittore scomparso non avesse «trovato riconoscimenti adeguati fra gli addetti ai lavori della critica letteraria italiana, ma era tradotto nelle più diverse lingue del mondo». Scriveva De Mauro:

Anche un silenzio può essere significativo. Il silenzio degli addetti ai lavori della nostra critica letteraria ufficiale è a modo suo eloquente. La nostra critica e storia letteraria (con eccezioni che confermano la regola, e che del resto sono date soprattutto dall’apporto di filologi e di scrittori come Sanguineti) è tetramente monolingue. Di norma, un professore di letteratura italiana legge libri in italiano su autori italiani. L’esistenza di lingue diverse dall’italiano, dai dialetti al cabardino o al francese, è un accidente che cade fuori del suo normale orizzonte professionale. Mediamente, un professore di letteratura italiana è, volente o no, fradicio zuppo di letterarietà italiana, in italiano, per italiani possibilmente letterati. Il resto, per lui, è silenzio. La mancata simpatia per uno scrittore come Rodari ha forse qui la sua ragione. Rodari è stato uno scrittore profondamente plurilingue, uno scompaginatore genialmente irriverente e sapiente dell’ordine linguistico costituito.

(Tullio De Mauro, Perché è stato tanto ignorato, «l’Unità», 16 aprile 1980)

Sulle colonne dell’«Unità» De Mauro non citava il persistente diffuso pregiudizio verso Rodari provocato dall’adesione di un autore di narrativa per l’infanzia al Partito comunista italiano. Giorgio Bini ricorderà qualche anno dopo che, finché non fu pubblicato da Einaudi, «per conoscerlo bisognava essere di sinistra e avere il cervello buttato alla letteratura giovanile. Era più conosciuto all’estero, nei paesi socialisti, che da noi» [Giorgio Bini, Breve guida al mondo di Rodari, «l’Unità», 12 gennaio 1984].

Lo scrittore si schermiva al cospetto di Roberto Cerati, mitico direttore commerciale dello Struzzo: «Benché famoso agli antipodi, e rinomato tra kirghisi e kabardini del Caucaso, che cos’ero io nella repubblica delle lettere italiane se non un intruso, un clandestino?»

(Simonetta Fiori, Gianni Rodari, la fantasia al potere, «il venerdì», 10 aprile 2020)

Quel pregiudizio verso l’impegno politico di Rodari sarà denunciato apertamente da Walter Pedullà, in un amorevole ritratto dell’uomo e dello scrittore pubblicato sul quotidiano del PSI «Avanti!» il 16 aprile del 1980:

Un bravissimo scrittore, un uomo di eccezione. Lo si indicava come il maggiore rappresentante delle «Favole ideologiche», vale a dire che al comunista Rodari si attribuiva una preminente volontà di pedagogia politica. In particolare ci si riferiva alle varianti con cui egli correggeva energicamente trame di favole che nella mentalità contemporanea sono vistosamente reazionarie. Rodari non si rassegnava all’idea che l’inevitabile funzione pedagogica della letteratura infantile tenesse in vita messaggi di proverbiale e millenario conservatorismo. Il progressismo di Rodari però non aveva nulla di banale o di semplicistico o di rozzo. Era elegante, sottile, dotato di molto humour e di un brillante estro di fantasia, che anzi stava diventando sempre più leggera, spensierata e «immotivata». Se non dimenticava la «tesi» o la morale, si prendeva le sue belle libertà, fino al nonsense e al più gratuito e allegro gioco di parole. Rodari era ormai lontano e autonomo dalle favole madri con cui gli scrittori per l’infanzia debbono fare sempre i conti; si era fatta la sua personale mitologia: «minore», se si vuole, rispetto ai grandi modelli, ma con una sua sagoma originale e indimenticabile. Rodari è un favolista che non sarà facile dimenticare. Quando sarà il momento di ricavare dalle sue opere una antologia, essa sarà sicuramente all’altezza delle migliori che il Novecento offrirà a tutto il mondo.

(Walter Pedullà, I bambini italiani hanno perso il loro Andersen, «Avanti», 16 aprile 1980)

A proposito dell'autore

Antonio Coletta

Antonio Coletta è autore, ufficio stampa e redattore editoriale freelance. Ha fondato numerosi blog e strambe webzine e collaborato con molte testate e troppi siti internet. Ha raccontato la sua fallimentare esperienza di addetto stampa del cantautore Calcutta in «Calcutta. Amatevi in disparte» (Arcana, 2018), pubblicato la raccolta di racconti «Mia madre astronauta» (Ultra, 2019) e partecipato all'antologia «Qui giace un poeta» (Jimenez, 2020) con un racconto su Roberto Bolaño.

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Antonio Coletta è autore, ufficio stampa e redattore editoriale freelance. Ha fondato numerosi blog e strambe webzine e collaborato con molte testate e troppi siti internet. Ha raccontato la sua fallimentare esperienza di addetto stampa del cantautore Calcutta in «Calcutta. Amatevi in disparte» (Arcana, 2018), pubblicato la raccolta di racconti «Mia madre astronauta» (Ultra, 2019) e partecipato all'antologia «Qui giace un poeta» (Jimenez, 2020) con un racconto su Roberto Bolaño.

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