Amava la compagnia dei «carnali», per
Cesare Garboli – Un uomo pieno di gioia (Minimum Fax)
dirla in termini gnostici (probabilmente scambiandoli per «perduti») e compativa o trattava con indifferenza gli «pneumatici», col risultato che i carnali e i grossolani, per malizia o per dileggio, lestofanti veri o gaie canaglie, finivano prima o poi col raggirarlo. Ma dalle persone che non lo raggiravano, Delfini temeva qualcosa di più terribile. Non sopportava che lo si amasse, perché essere oggetto di attenzione affettuosa lo faceva sentire puerile; e un rapporto reale con gli altri, e quindi il riconoscimento della realtà degli altri, lo turbavano non meno del riconoscimento della propria. Nessun rapporto reale lo avrebbe mai compensato della perdita del suo regno immaginario. Per questo i rapporti col prossimo, appena uscivano dallo scherzo e dal gioco, emozionavano Delfini e lo turbavano fino al punto da alterarlo fisicamente. Non poteva sopportarli. Essi lo toccavano nel punto in cui la ferita era più profonda; dove si riapriva una vecchia lite ormai seppellita tra una personalità cresciuta nell’immaginario e un’altra sconosciuta, cioè il conflitto tra un bambino e un adulto. Delfini non aveva occhi e orecchi che per se stesso.