Direzione Laurentina, prossimo treno quattro minuti.
Ci vogliono passione, dedizione ed esperienza per montare sui treni della metropolitana nelle ore di punta, e questo Giacomo lo sa bene. Ogni mattina, alla stazione Bologna, con spirito di abnegazione, si infila in piccoli spazi lasciati vuoti dalla mandria di uomini tirata su dal macchinista alla stazione Tiburtina, mentre gli altri poveracci aspettano tempi, ma soprattutto, treni migliori.
Quel lunedì mattina la banchina d’attesa è strapiena, Giacomo si posiziona nel punto a lui più favorevole, quello dal quale può controllare assieme, in pochissimi secondi, l’apertura di ben tre portelloni. Si muove con destrezza, scarta di lato, si inserisce di sbieco nel portellone alla sua destra, stretto tra una corpulenta donna di mezz’età e un omaccione nero. Gli spazi occupabili all’interno del treno, in realtà, come ogni mattina, sarebbero centinaia ma, per una regola non scritta, l’uomo metropolitano tende ad occupare lo stesso posto senza muoversi fino alla penultima fermata prima del suo viaggio: giunto a quella, comincerà la sua marcia di avvicinamento al portellone d’interesse all’urlo di “Lei
scende alla prossima?”
Giacomo ora deve stare attento, è il momento più delicato: dove mettere le mani?
Cercando di aggrapparsi a qualcosa per mantenere l’equilibrio, rischierebbe di colpire con il gomito la fronte della donna di mezza età, la quale potrebbe anche mal interpretare le braccia lasciate appese credendo, in cuor suo, che esista ancora (se mai sia esistita) una mano morta pronta a sfiorarne il sedere. Le mani in tasca, al contrario, potrebbero apparire un affronto per l’omaccione nero, se ne sentono tante sugli extracomunitari al giorno d’oggi, ma quello potrebbe essere un buon uomo e non avere alcuna intenzione di sottrarre quel po’ di monete che gli si muovono in tasca. Per evitare ogni equivoco, Giacomo, con le mani in alto, si appoggia al soffitto del treno che cammina, senza trovare
alcun reale appiglio che gli permetta di non essere vittima delle arbitrarie frenate del conducente. Ondeggia qua e là, sfiorando con il pene molle la coscia avvizzita della cinquantenne e con il culo la gamba gigantesca dell’uomo nero. La metropolitana nelle ore di punta è il luogo più sessualmente promiscuo e disgustoso che esista al mondo.
Alla fermata del Policlinico l’uomo nero deve scendere, chiede permesso in una lingua sconosciuta, riesce a scuotere a spallate gli uomini inchiodati alle loro posizioni di base.
Giacomo riesce a girarsi di novanta gradi, ora ha le spalle incollate al portellone e davanti a sé una ragazza dai capelli rossi e un vestito corto bianco. Nel frattempo, dal portellone che si para esattamente dall’altra parte del treno, un’altra orda di persone sta entrando. La ragazza davanti a Giacomo ha la pelle molto chiara, se ne accorge dal colorito delle sue spalle lasciate scoperte. Sta leggendo. Giacomo si accorge di avere abbastanza spazio da poter tirar fuori dalla borsa il romanzo che sta leggendo, “L’anno della morte di Ricardo Reis”, di José Saramago.
La ragazza si chiama Julie, questo Giacomo non lo sa, solo chi ha inventato questa storia può conoscerne nome, storia, fattezze. Julie deve arrivare fino alla stazione Termini dove ha appuntamento con un uomo che dovrebbe affittarle un appartamento vicino piazza Vittorio. Non sposta gli occhi dal libro e non li sposta neanche Giacomo che, nonostante il suo Saramago aperto tra le mani, è molto più interessato dalla lettura in una lingua che non conosce ma che è certo sia francese. Cerca di interpretarlo a modo suo, tradurlo.
Qualcosa del tipo “Quella notte la luna non si era levata”, o giù di lì. Non riesce ad andare più a fondo, colpa delle dita della ragazza che gli ostruiscono la visuale. Dovrà attendere che lei giri pagina o dirle, Ehi, spostati, fai leggere anche me. Giacomo abbassa lo sguardo sul libro, poi lo sposta sui fianchi assenti della ragazza bianchiccia, alta, rossa di capelli. Ha un ché di nobile il suo lato posteriore. Napoleonico, è l’aggettivo che viene in mente a Giacomo, sembra quasi uscire da certi quadri dell’ottocento. Vorrebbe guardarne le scarpe ma non può, dovrebbe chiudere il libro e questa sua mossa non passerebbe certo inosservata alla donna di mezza età che sta sempre lì, alla sua sinistra.
Alla fermata di Castro Pretorio non scende e non sale nessuno. Giacomo resta fermo lì, con la ragazza francese messa a leggere proprio davanti a lui di cui vedrà il volto solamente alla stazione Termini, qualche minuto dopo, quando, voltandosi, lei gli dirà “Pardon”, l’estremità destra del labbro volta verso il basso, così come l’occhio e tutto il viso. Giacomo le sorriderà senza fiato, le farà spazio per scendere, aspetterà la discesa di
tutti gli schiavi del servizio dei trasporti romano e accoglierà un’altra orda di persone sole, pronte ad affrontare immobili con lui l’altra parte del viaggio.