Sono oggi quattro anni che mio padre è mancato. Di mestiere faceva il supereroe silenzioso. È morto sul lavoro. Prendeva talmente sul serio il suo ruolo di supereroe silenzioso che non parlò mai con nessuno delle sue imprese. Una sera, quando io già ero a letto, mio padre sentì con il suo superudito che alcuni bambini erano in pericolo, aprì in fretta la finestra e spiccò il volo – ma cadde per venti metri e si sfracellò sul marciapiede. «Aveva dimenticato il mantello da supereroe silenzioso», mi disse la mamma. «Sai comʼera distratto tuo padre». Piansi per mezza giornata pensando al mio papà e a quei bambini che non era riuscito a salvare. «Non ti preoccupare per loro, è corso Superman a sostituirlo» mi disse la nonna. Lei – la mamma del mio papà – lo sentiva che suo figlio non avrebbe dovuto intraprendere quella carriera: «Aveva un gran cuore ma pochi poteri». Lei avrebbe voluto che suo figlio – il mio papà – diventasse un disperso in guerra, come suo marito – mio nonno – e suo suocero – il mio bisnonno. Il mio bisnonno lavorò talmente bene come disperso che non tornò mai dalla Grande guerra; mio nonno, invece, non fu altrettanto bravo: lo trovarono nelle campagne russe trentʼanni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, ancora vivo. Mia nonna si arrabbiò parecchio quando – tornando dalla seduta di toelettatura del barboncino Milo – lo trovò in casa. Gli disse: «Disgraziato! La nostra era una vita da signori, ora che non hai più un lavoro cosa faremo?». E aveva ragione la nonna, perché i soldi finirono in fretta. Cucinato anche il barboncino, mia nonna invitò il marito ad andarsene: «Il nonno aprì in fretta la finestra e spiccò il volo per tornarsene in Russia, ma cadde per sedici metri e si sfracellò sul marciapiede». «Nonna, penso proprio che quando sarò grande comprerò una casa al piano terra».